Anno da record per il contemporaneo il 2014. Sfiorati i 40 Mld€ per il “Balloon Dog” di Jeff Koons, 179 le aste milionarie, Christie’s di New York chiude l’asta più produttiva di tutti i tempi con un incasso di 477 Mld€.

Queste solo alcune delle cifre presenti nel dettagliato report annuale pubblicato da ArtPrice (imgpublic.artprice.com). I 100 artisti più redditizi dell’arte contemporanea oggi generano 1 Mld€ in 12 mesi, rispetto ai 102 milioni di esattamente 10 anni fa. Oltre a queste cifre riservate a pochi eletti (i risultati superiori ai 50.000 € riguardano solo il 6% dei lotti), il dato forse più impressionante è rappresentato dal mercato di fascia medio bassa, che negli ultimi quattro anni si è sviluppato attorno a quell’ “ufo economico” che è diventata l’arte contemporanea. I due grandi colossi, Cina e Stati Uniti, si sfidano sul mercato di alta fascia, mentre in Europa, l’81% dei lotti contemporanei viene venduto a meno di 5.000 € (rispetto ad una media mondiale del 66%), e questo avviene in particolare in Francia. Mentre il mercato londinese primeggia incontrastato, quello parigino sta progressivamente perdendo slancio (nel 2014 diverse gallerie storiche hanno interrotto la loro attività).
In questo nuovo sistema che privilegia la dimensione performativa sviluppata attorno a pochi grandi nomi, in cui scorrono cifre da capogiro, come si regolano i rapporti tra i componenti del settore, case d’asta, gallerie e, perché no, i musei?
I ruoli sono progressivamente più confusi, la trasparenza manca. Le case d’asta assumono un ruolo sempre più simile a quello del mercante/gallerista: organizzano importanti mostre, sontuosi cataloghi, introducono sul mercato artisti emergenti, concludono anche vendite private, espandono ulteriormente il loro raggio d’azione con le aste online. Conseguenza forse anche delle cifre gonfiate e dall’atteggiamento elitario di molte gallerie, sta di fatto che i piccoli mercanti sono i primi a soffrire di questo fenomeno. Anche la macchina museale deve far fronte a problematiche economiche, in certi casi risolvibili con soluzioni prelevate dai “colleghi” mercanti. Molti musei si aggiudicano l’opera di artisti emergenti e in alcuni paesi, per esempio in Svizzera, alcune istituzioni organizzano mostre-mercato, aperte alla vendita.
Questa mancanza di trasparenza, di ruoli e rapporti confusi, mostra quanto il mercato dell’arte funzioni ancora con vecchi sistemi, ai quali il recente proliferare di banche dati e di servizi online sembra voler dare una necessaria regolamentazione.
Ma fino a dove è possibile spingersi? Di fronte a queste diatribe intestine per la “corsa all’oro” viene spontaneo chiedersi dove sia finita la sostanza del messaggio artistico. Il valore storico-culturale delle opere d’arte è ancora rintracciabile? E soprattutto, è ancora la vera priorità nella valutazione di un artista?

Questo articolo è disponibile anche in Inglese