Intervista a cura di Virginia Ciccone

Quando si pensa all’istituzione “museo” è automatica l’associazione di idee con un luogo consacrato al sapere, alla conservazione ed all’esposizione di oggetti che testimoniano l’identità e la cultura di civiltà antiche o contemporanee. Nella maggior parte dei casi nell’immaginario collettivo il termine implica anche, necessariamente, un certo quale imprescindibile senso di rispetto devozionale per un’istituzione percepita come il tempio ufficiale di un sapere indiscusso.
Come si arriva dunque alla costruzione di un’efficace galleria museale e quali sono i valori fondamentali da tenere in considerazione in questa delicata fase?
La parola a Sheila Watson, Vicepreside della Scuola di Studi Museali dell’Università di Leicester, UK.

Virginia Ciccone: Prima di iniziare l’intervista le dispiacerebbe presentarsi e raccontarci qualcosa a proposito della sua formazione?

Sheila Watsnon: Mi chiamo Sheila Watson. Sono Professoressa Ordinaria presso la Scuola di Studi Museali all’Università di Leicester, UK. Ho intrapreso diverse carriere: ho iniziato come insegnante di storia presso una scuola superiore prima di passare all’ambito dell’educazione museale. Sono diventata una curatrice e direttrice di museo e uno dei miei ultimi incarichi prima di entrare a far parte dello staff a Leicester è stato sviluppare un nuovo museo etnografico chiamato Time and Tide nel Great Yarmouth, Norfolk.

V.C: Nella lezione “In che modo le emozioni influenzano il modo in cui le persone apprendono all’interno dei musei di storia?”, che ha tenuto a Malta il 28 marzo 2014, si è focalizzata sull’importanza che i sentimenti hanno sia nella costruzione che nella percezione di una galleria museale: quando e come ha iniziato ad intraprendere questo tipo di ricerca e quale è stata la principale ragione che l’ha spinta a fare ciò?

Ho iniziato ad interessarmi a questo tipo di argomenti circa tre anni fa quando sono stata coinvolta in un progetto europeo chiamato EuNaMus www.ep.liu.se/eunamus, che studiava musei nazionali in Europa. Mi è venuto in mente che i musei stavano cercando di spiegare la nazione nel museo ricorrendo a termini logici e intellettuali e che quello che realmente contava era l’impressione affettiva che le nazioni avevano prodotto sulle persone. Ho iniziato a pensare che per la maggior parte dei visitatori le loro identità nazionali fossero qualcosa di molto emozionale e che nessuno stava ancora evidenziando questo aspetto. Ho anche riscontrato che pochissima ricerca era stata fatta nel campo delle emozioni all’interno dei musei ed ho quindi deciso che fosse meglio che io stessa ne iniziassi una!

Com’è possibile studiare e portare avanti una ricerca accademica su un tema così soggettivo come i sentimenti e le emozioni? È necessario avere delle conoscenze nell’ambito della psicologia?

Questo è, certamente, un ambito molto impegnativo da studiare. Al momento una grandissima parte del mio pensiero è stata influenzata dalle idee di storici e pensatori che ritengono che le emozioni siano regolate culturalmente, in parte dalla storia e dagli studi storici. Sto anche considerando teorie relative al modo in cui la recente ricerca psicologica suggerisce che, anche quando pensiamo di essere distaccati, la parte del cervello che controlla le emozioni risponde allo stimolo e lo fa una frazione di secondo prima delle nostre funzioni cognitive. Quello che vorrei fare ora è intraprendere una ricerca sul visitatore coinvolgendo storici, artisti e personaggi simili, professionisti del settore museale, professori di studi museali e psicologi.

In base alla sua esperienza, quali sono i valori più importanti che un curatore dovrebbe tenere in considerazione per costruire una efficace galleria museale? Essi variano a seconda della cultura e della società a cui il museo appartiene?

Penso che alcuni valori siano gli stessi per qualsiasi cultura e società a cui il museo appartenga. Dovremmo, credo, sempre essere onesti ed incoraggiare un dibattito aperto. I curatori devono pensare ai modi in cui i visitatori entrano in contatto con gli oggetti e gli spazi in cui gli oggetti sono collocati ed essere sensibili ad una serie di ostacoli alla comprensione che i musei potrebbero, inavvertitamente, creare a coloro che non siano abituati a visitare gallerie e musei. Idealmente una galleria museale è uno spazio per sperimentare, sbagliare, tornare a sperimentare, etc., e non dovrebbe mai essere considerata finita. I curatori dovrebbero coinvolgere i visitatori e le comunità nel decidere come e che cosa dovrebbe essere esposto e dovrebbero sempre valutare ciò che fanno. Detto ciò, sì, alcuni aspetti di gallerie e musei saranno culturalmente specifici e dipenderanno dal luogo in cui il museo si trova.

School of Museum Studies, University of Leicester, ©Martine Hamilton Knight Photography.

School of Museum Studies, University of Leicester, ©Martine Hamilton Knight Photography.

Come si può stabilire il giusto equilibrio fra contenuto accademico ed emozioni nella costruzione di una galleria museale?

Credo che sarebbe utile se pensassimo alle emozioni e al contenuto accademico come a qualcosa che non è separato, ma, a dire il vero, intrecciato. Gran parte di quello che riteniamo essere freddo testo, discorso, interpretazione accademica in una galleria è culturalmente regolamentato, ed ogni cultura ha un registro emozionale. Per esempio, nel Regno Unito ci vantiamo di essere “impassibili”, in altre parole in nostri sentimenti e le nostre emozioni non sono molto tangibili. Tuttavia, coloro fra noi che abbiano una certa familiarità con questa convenzione saranno in grado di “leggere” l’indizio emozionale nei testi che potrebbero sembrare completamente privi di emozioni. Quindi vorrei che cominciassimo ad essere consapevoli che la vecchia divisione fra emozione e cognizione non rappresenta il modo in cui le persone reagiscono e pensano quando si aggirano per una galleria. Essi pensano e sentono simultaneamente, ed il design di una galleria dovrebbe facilitare ciò ed essere consapevole che certe volte l’origine culturale influenzerà il modo in cui le persone si sentono quando vivono una galleria.

Secondo lei, parlando in termini della reale esperienza emotiva fornita ai visitatori, quali sono le realtà/gli allestimenti di musei di storia più avanzati nel mondo?

Che domanda difficile! Certamente non ho visto tutti gli allestimenti dei musei di storia nel mondo, ma ce ne sono due che raccomanderei fortemente.
Il museo di storia di Stoccolma: magnificamente curato e recentemente riallestito in alcune sezioni. Qui le reazioni emotive dei visitatori sono attentamente controllate attraverso la narrativa ed il design.
L’Imperial War Museum North di Manchester, Inghilterra. La Big Picture Show, uno straordinariamente potente uso dello spazio, del suono, della luce e delle fotografie che cambia ogni ora. Sebbene riguardi argomenti difficili, riesce ad essere meditato e toccante. Ti fa pensare e sentire allo stesso tempo ed entrambe le componenti rafforzano l’esperienza dell’altro.

Durante la sua lezione “In che modo le emozioni influenzano il modo in cui le persone apprendono all’interno dei musei di storia?” ha menzionato il Museo Militare di Istanbul come un esempio di museo che fornisce ai visitatori un contenuto talmente forte da rimanere persino scioccati da ciò che si vede. Che cosa pensa di un tipo di approccio così diretto? È corretto fintanto che mostra immagini vere di vita quotidiana, oppure un museo dovrebbe, essendo un’istituzione pubblica, in qualche modo proteggere la sensibilità emotiva dei propri visitatori?

Penso che questo tocchi una intera serie di difficili domande. Per me ciò riguarda tanto l’etica del mostrare un “contenuto forte” (in questo caso corpi morti e mutilati) quanto l’impatto sui visitatori attuali. Tali mostre ci desensibilizzano nei confronti della violenza? Siamo voyeurs dell’ultimo istante di vita di qualcuno? Tuttavia, come Lei giustamente evidenzia, dobbiamo anche pensare alla questione etica se sia giusto scioccare e intristire i visitatori. Secondo me dovremmo riservarci il diritto di mostrare cose che potrebbero turbare o intristire le persone, ma dovremmo avvertirle in modo che abbiano la possibilità di scegliere se vogliono o meno vedere e provare tali cose.

Che cosa pensa di MUZA, il progetto per lo sviluppo di un nuovo museo ed una nuova tipologia museale che il Governo Locale di Malta, Heritage Malta ed il Ministero del Turismo hanno intrapreso?

Sembra un progetto favolosamente innovativo che sarà un esempio da seguire per altri musei, fornirà ai Maltesi allestimenti accessibili ed interessanti all’interno di un museo che li renderà orgogliosi e darà ai visitatori una fantastica visione di nuovi modi di vivere l’arte. È un fantastico esempio di un progetto congiunto basato su una comunità e non vedo l’ora di vederlo quando sarà completato.

In base alla sua esperienza, il progetto di MUZA rappresenta qualcosa di nuovo o può essere paragonato a qualche altra realtà museale già esistente nel mondo?

Da quello che ho sentito questo progetto è nuovo e diverso. Credo che sorprenderà il mondo.

La rivista MyTemplArt è particolarmente focalizzata sulla realtà delle istituzioni d’arte, sia musei che scuole di studi museali, nel ventunesimo secolo. Qual è la sua opinione personale a tal proposito?

Ovviamente per me tutte le istituzioni d’arte e le istituzioni che le studiano sono parti importanti della nostra eredità culturale. Devono essere in ugual misura curate, coltivate e messe alla prova.

Lei è stata un membro della Scuola di Studi Museali dal 2003 ed ora ne è Vicepreside. A quali cambiamenti istituzionali ha assistito da allora?

Ce ne sono stati troppi per poterli menzionare tutti in questa sede. La Scuola è un luogo estremamente dinamico: www2.le.ac.uk e basta dare un’occhiata al suo sito web per rendersi conto di quante cose capitino. Negli ultimi dieci anni la sua dimensione è quasi raddoppiata ed i tipi di programmi che offre sono cresciuti. Offriamo corsi a distanza in Eredità Digitale, Studi Museali, Apprendimento e Ricerca sulla fruizione dei musei, delle gallerie, dell’eredità culturale e dell’interpretazione. Abbiamo sviluppato ampli progetti di ricerca internazionale e abbiamo collaborato molto più di quanto fossimo abituati a fare in passato con colleghi di tutto il mondo. Il nostro gruppo di studenti è sempre stato internazionale, ma è diventato anche più vario, il che è fantastico.

Al giorno d’oggi curare una mostra viene spesso visto come qualcosa che va di moda, piuttosto che come un’azione basata su un contenuto scientifico. Pensa che i curatori stiano esercitando un potere troppo grande, in questo modo dando vita a mostre prive di senso e valore artistico? Che cosa pensa dello “stato dell’arte” del curare arte contemporanea?

Le mostre, soprattutto quelle di arte, hanno scopi e significati diversi. Non penso che i curatori abbiano troppo potere di per sé, ma vorrei vedere più collaborazione con il loro pubblico così che ci sia un dialogo tra di loro prima e durante la mostra. Vorrei anche vedere più mostre interdisciplinari che usino l’arte. Per me l’arte non è soltanto qualcosa esposto in una galleria, ma è parte di quel tutto che sono le esperienze di vita.

Scuola di Studi Museali, Università di Leicester, UK:  www2.le.ac.uk

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