Mondanità, protesta e assurdità nei piccoli gesti quotidiani della società americana.

Questa la storia acutamente raccontata da Garry Winogrand nella più vasta retrospettiva a lui dedicata in mostra fino all’8 febbraio al Jeu de Paume di Parigi. Attraverso innumerevoli scatti, divisi in tre sezioni tematiche, la mostra racconta le tappe di una carriera durata più di trent’anni, marcata da una prolifera attività e da uno sguardo costantemente curioso sulla storia degli Stati Uniti nei complessi anni del dopoguerra; una storia fatta da ogni singolo giorno, dai suoi abitanti. Winogrand rinuncia prestissimo all’umanesimo positivo della fotografia degli Cinquanta, per produrre immagini più ambigue, ricche di dettagli, aperte a più interpretazioni, o anche a nessuna.

Nel 1984, all’età di 66 anni, il fotografo si scopre improvvisamente ammalato di un cancro incurabile, che lo porterà via in pochi mesi. Alla sua morte lascerà un’eredità impressionante: più di 6600 rullini (per un totale di circa 250 000 immagini), alcuni di cui stampa i provini e seleziona alcune immagini, altri mai esaminati.

Una parte di questo lavoro incompiuto è stata stampata ed esposta per la prima volta in questa mostra. Come si legge nella presentazione, “i circa quattro quinti delle fotografie di questa sezione di inediti non sono mai state visti da Winogrand, che non ha lasciato né appunti né istruzioni da seguire. È impossibile stabilire quale sguardo avrebbe avuto su queste fotografie”.

Leo Rubinfien è il curatore esterno invitato dalla direzione del Jeu de Paume, colui dunque a cui si devono queste scelte, realizzate in collaborazione con Erin O’Toole e Sarah Greenough (rispettivamente conservatori al San Francisco Museum of Modern Art e alla National Gallery of Art). Fotografo e saggista statunitense, amico delle stesso Winogrand, anche se di una generazione successiva alla sua, Rubinfien da qualche anno lavora alla concezione di questa mostra, presentata per la prima volta al San Francisco Museum of Modern Art nella primavera 2013. Dopo aver esaminato l’impressionante cifra di circa 22 000 negativi conservati al Center for Creative Photography dell’Unversità dell’Arizona, appartenenti a periodi diversi della carriera di Winogrand, una parte di questi è stata selezionata, stampata da Teresa Engle Schirmer dell’Unversità di Tucson (Arizona) ed esposta per la prima volta.

Rubinfien parla di questa mostra come del punto di partenza di una necessaria analisi del lavoro incompiuto di Winogrand, uno dei fotografi più importanti del dopoguerra, lavoro di ricerca che ha portato e porterà alla scoperta di lati del suo lavoro ancora sconosciuti. Una simile impresa era già stata intrapresa in occasione della prima grande retrospettiva a lui dedicata dal MoMA nel 1988. La vedova di Winogrand, Eileen Adele Hale, si era rivolta a John Szarkowski, direttore del Dipartimento di Fotografia del MoMA, amico del fotografo e grande sostenitore della sua opera. Szarkowski decise di stampare i rullini su provini a contatto per evitarne la perdita per deterioramento e ne espose una piccola parte, dando il via alle prime perplessità della comunità scientifica circa la legittimità di una tale operazione.

La scelta di stampare opere inedite post-mortem senza alcuna indicazione da parte dell’artista coinvolge questioni di ordine pratico, estetico ed etico. Pratiche dal punto di vista del metodo di stampa, del trattamento dei colori e della luce. Estetiche dal punto di vista della scelta: gli scatti selezionati per la mostra sarebbero mai stati scelti da Winogrand per essere stampati? Da questo problema discende poi la questione etica: è corretto “appropriarsi” di materiale non proprio e soprattutto di effettuarne una selezione?

Un lavoro filologico prevederebbe lo sviluppo di tutte le pellicole rimaste dopo la morte del fotografo, salvo per quelle in cui appunto era già indicata la preferenza dell’autore. La scelta, obbligata dalla mole di materiale, di esporne solo alcune non pregiudica però l’oggettività che dovrebbe essere alla base del lavoro dello storico dell’arte? Per quanto profondi conoscitori dell’opera di un artista, possiamo scegliere per lui?

La risposta dei curatori si basa su due punti principali: il primo è quello già accennato della portata conoscitiva di questo progetto. Di fronte a cotanto materiale incompiuto non si può pensare di conoscere veramente tutta la produzione di un artista, una tale lacuna rappresenterebbe quindi una grave mancanza negli studi su Winogrand.

La seconda “giustificazione” sarebbe legata all’atteggiamento dello stesso Winogrand nei confronti del suo lavoro. Definito come un fotografo più attento all’atto che allo sviluppo, anche in vita Winogrand affidava spesso la stampa della sue fotografie a terzi. Inoltre, il fatto di non aver distrutto i suoi rullini prima di morire, come fece per esempio Brett Weston, sembrerebbe un chiaro messaggio di libertà per i posteri, ai quali non volle impedire di utilizzare le proprie immagini e a cui non lasciò indicazioni precise sulla loro sorte. Fotografo dalla scarsa attività espositiva ed editoriale (pubblica soli 5 libri in tutta la sua carriera), ha forse volontariamente lasciato aperte le possibilità sull’utilizzo postumo del suo lavoro incompiuto.

Caso che da ormai trent’anni fa discutere conservatori e critici d’arte, la successione di Winogrand pone ancora problematiche di estrema attualità, circa la proprietà intellettuale dell’opera e lo status di questa. Le fotografie esposte in mostra sono “opere” di Winogrand o solo una scelta, senza dubbio ponderata, ma di fatto arbitraria dei curatori? La loro risposta sarebbe certamente la prima, ma forse, ancora oggi, le motivazioni non sono del tutto convincenti.

 

Alice Ensabella

 

Cover:

Garry Winogrand

Metropolitan Opera, New York, vers 1951

Tirage num.rique posthume d’apr.s un n.gatif original Garry Winogrand Archive, Center for Creative Photography, University of Arizona The Estate of Garry Winogrand, courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco