Oltre ad essere artiste, Linda Rucina e Hilliary K. Gabryel, sono le fondatrici di Era VI VII VI, uno spazio espositivo aperto nel Maggio 2014 diretto da artisti ed ubicato al 676 Woodward Avenue, Ridgewood, nel Queens.

Hilliary e Linda ci raccontano gli inizi di Era VI VII VI e condividono con noi la loro visione sulla scena dell’arte contemporanea Newyorkese.

Com’è nata l’idea di questo spazio espositivo? Quali sono le vostre motivazioni? Perché questo nome particolare?
Nel Gennaio 2014 abbiamo iniziato la ricerca di uno spazio espositivo a New York. Abbiamo trovato un posto nel quartiere di Ridgewood nel Queens. La vetrina ci è sembrata un luogo ideale che faciliterebbe la produzione dei nostri lavori e ci darebbe l’opportunità per progetti curiatoriali collettivi ed esposizioni in cui i protagonisti sarebbero gli artisti emergenti. Abbiamo scelto il nome Era per via del suo riferimento al tempo; VI VII VI, invece, si riferisce all’indirizzo della strada. Crediamo che la creazione di questo spazio sia l’inaugurazione di un inizio importante nelle nostre carriere professionali ed artistiche.

Che tipo di lavori esponete? Come scegliete i vostri artisti?
Siamo interessate nel mostrare tutti i tipi di lavori di artisti emergenti: fino ad ora abbiamo esposto sculture, pittura, fotografia, video, installazioni con svariati materiali ed opere digitali. Selezioniamo artisti che abbiano un’attività seria ed i cui lavori esprimano concetti profondi. Molto importante; quando selezioniamo un artista, ci chiediamo, perché lui o lei in particolare? Perché questi lavori e perché in questo momento? Per noi è fondamentale l’esposizione di sculture e d’installazioni poiché entrambe lavoriamo con questi mezzi.

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Qual è la vostra opinione sulla scena dell’arte contemporanea a NYC?
La scena dell’arte contemporanea a NYC esiste su svariati livelli. Da una parte New York è il fulcro di gallerie rinomate da un punto di vista internazionale e di musei prestigiosi, e da un altro lato, ospita numerosi progetti e spazi espositivi improvvisati. Essendo artiste emergenti nella scena Newyorkese, con infinite opportunità per vedere arte e per creare le nostre nicchie, pensiamo che il percorso sia insidioso ed incontrollato.

Quali sono i vostri progetti sul lungo termine?
Il nostro progetto più importante sul lungo termine è dirigere uno spazio espositivo che contribuisca in maniera fondamentale al dialogo dell’arte contemporanea. Tutto ciò è possibile in seguito alla creazione di una solida base di contatti. In questo momento, siamo interessate nello stabilire un ponte tra la città di New York e la scena dell’arte contemporanea Lettone. Siamo liete di fare il primo passo verso questo obiettivo con l’inclusione nell’artista Lettone Indrikis Gelzis nella nostra esposizione di gruppo nel maggio 2015. Inoltre, in un futuro non distante, vorremmo organizzare dei forum mensili nel nostro spazio.

Che tipo di attenzione avete sul rapporto tra arte e nuove tecnologie?
Le nuove tecnologie sono onnipresenti nell’arte contemporanea come lo sono nella vita quotidiana e noi ci adattiamo a come vediamo l’arte e nella creazione dei nostri lavori. Spesso la visione delle opere d’arte accade online. Ci sono artisti che usano nuovi mezzi per creare i loro lavori; David Hockney con i suoi disegni fatti con l’Ipad per esempio, è una perfetta dimostrazione su come gli artisti elargiscono la loro pratica artistica alle nuove tecnologie. La correlazione tra arte e nuove tecnologie è strettamente legata alla missione di Era VI VII VI come lo sono i lavori da essa esposti.

MyTemplArt è particolarmente interessato al ruolo che l’archiviazione gioca nel mondo dell’arte. Pensate che gli artisti si sentano obbligati ad archiviare il proprio lavoro?
Archiviare il proprio lavoro è generalmente una sensibilità che appartiene al passato, anche se il problema rimarrà per sempre. La realtà delle difficoltà nel preservare e catalogare il proprio lavoro a New York è costante. L’artista Post-Internet Artie Vierkant ha un approccio interessante a questa sfida: nella sua serie Image Objects, la documentazione dei suoi lavori di scultura e la manipolazione digitale di quelle immagini divengono opere d’arte distinte. L’approccio di Vierkant all’archiviazione, con una tecnica molto particolare, mette in questione se veramente la tecnologia possa preservare la memoria di un’opera d’arte.

Credete che ci sia un’attenzione particolare da parte delle gallerie nel proteggere ed allo stesso tempo di promuovere il lavoro degli artisti e l’acquisto dei collezionisti?
In seguito alla nostra esperienza in gallerie d’arte contemporanea possiamo dire che questo è vero. Le gallerie rappresentano gli artisti perciò assumono il ruolo di promotori e d’intermediari. Pensiamo che Era VI VII VI abbia una politica diversa da quella della galleria tradizionale. Siamo principalmente interessate nell’esposizione di artisti emergenti con l’intenzione di creare collaborazioni con spazi d’esposizione, gallerie e collezionisti che abbiano obiettivi simili ai nostri.

Quali sono gli strumenti che oggi una galleria usa per rispondere alle richieste d’integrità che sorgono dal mondo dell’arte e che allo stesso tempo rispondono a meccanismi spesso speculativi?
Le possibilità che un artista ha di vivere solo grazie ai profitti delle sue opere sono esigue. Il mercato dell’arte è controllato in gran parte da gallerie commerciali e case d’asta che fissano I criteri ed il valore per le opere d’arte. Molti artisti adattano le loro opere alle esigenze del mercato, spesso influenzati dalla galleria che li rappresenta, invece altri non vendono nulla. Alla fine tuttavia, non c’è nessuna formula nel vendere e guadagnare allo stesso tempo. Creare arte significa giocare d’azzardo, devi scommettere per avere un’occasione.

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