La mostra all’Open Eye Gallery intende esplorare il tema della natura della fotografia come mezzo di documentazione della realtà contro la sua affermazione di autonomia artistica, ponendo al pubblico la domanda: ‘Può la fotografia mantenere la sua libertà artistica e superare la pura documentazione?’.

Questo è un punto saliente che si inserisce perfettamente nell’idea centrale della Biennale intorno al concetto di ‘quotidiano’ e il rapporto dell’arte con questa tematica. L’utilizzo della fotografia come metodo di documentazione artistica è qui messo al centro della discussione, assieme alla questione se il mondo dell’arte sia in grado di accettare la sua legittimità come forma di re-interpretazione artistica.

Curata da Lorenzo Fusi, la mostra affronta direttamente la premessa di cui sopra, presentando «documenti» che provengono da piattaforme di archiviazione.
L’opera di Cristina de Middel gioca con l’idea che il nostro investimento nella documentazione fotografica di manifestazioni artistiche possa essere sovvertito; l’artista apre così ad una riflessione sulla natura della documentazione fotografica e delle piattaforme di archiviazione delle manifestazioni di arti visive

Cristina De Middel, photo courtesy Paul Karalius

Cristina De Middel, photo courtesy Paul Karalius

Cristina de Middel  utilizza materiale di archivio delle precedenti edizioni della Biennale di Liverpool, immagini di precedenti installazioni e articoli di giornale, facendo riferimento ironicamente sia all’insoddisfazione del pubblico per la Biennale sia al delicato discorso sulla paternità dell’opera finale. Nella sua installazione De Middel utilizza come grandi wallpapers i titoli provocatori degli articoli di giornale per inquadrare le ‘sue’ immagini rielaborate, in cui le immagini delle opere che apparivano delle fotografie delle installazioni delle precedenti Biennali, vengono cancellate con vernice lilla. Attraverso questa documentazione “manipolata”, De Middel finisce col negarci l”arte’; un’operazione che tuttavia è nata casualmente, come conseguenza della negazione del permesso di riproduzione delle immagini richiesto agli artisti le cui opere comparivano nelle immagini manipolate dalla De Middel. Nascondendo l’arte, De Middel sovverte l’idea della fotografia come ‘documento’, ma deride anche giocosamente la sua autorevolezza come artista nella realizzazione dell’opera, rivelando i diversi strati di paternità presenti nel lavoro finale. Di chi è la proprietà intellettuale di questa opera? Degli artisti riprodotti? Del fotografo delle immagini dell’installazione? Degli organizzatori della Biennale? Oppure, soltanto della De Middel?

Documenta, Magritte, Profiles

Documenta, Magritte, Profiles

La mostra prosegue con la presentazione di due serie fotografiche, una di Hans Haacke che presenta le fotografie di Documenta 2 (1959) e le immagini di Ugo Mulas della Biennale di Venezia del 1968. Ricordando gli esordi della carriera di Mulas, il cui primo incarico professionale è stato un reportage fotografico della Biennale di Venezia del 1954 – evento che ha continuato a fotografare fino al 1972 – Open Eye Gallery ospita per la prima volta in Inghilterra le fotografie della cosiddetta ‘Biennale della rivoluzione’. La selezione di fotografie in mostra, in prestito da una collezione privata e curate da Maria Chiara Di Trapani, dialogano tra di loro e con lo spazio che abitano.
Il modo in cui queste immagini vengono visualizzate e interagiscono con il pubblico, parlano non solo di arte in sé, ma sono un commento su quell’intenso periodo di turbolenze politiche e sulla società di quegli anni in Italia.

Ritornando alla premessa originale, può la fotografia documentaria mantenere la sua libertà artistica? La risposta potrebbe essere sì, a patto che sia accettabile sradicare documenti fotografici dal loro contesto ed uso originario. Se gli artisti possono appropriarsi di tutto, perché non dovrebbero essere utilizzate immagini di installazioni per raccontare qualcosa di più su mostre e festival?

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