L’artista torinese Raoul Gilioli attraverso operazioni installative di arte pubblica presenta il suo ultimo lavoro “VITA, 200 stories through the glass” come espressione sociale di solidarietà e di interazione fra il pubblico dell’arte e la tecnologia.
Raoul Gilioli ha da sempre espresso con le sue opere la volontà di avvicinarsi al pubblico attraverso le tematiche sociali interagendo con esso grazie all’impiego di materiali vitrei riflettenti dal forte potere coinvolgente e all’uso della tecnologia per amplificarne la partecipazione stabilendo così una comunicazione diretta fra artista e fruitore al di là di ogni mediazione “colta”, in una prospettiva che allarga la scena e il pubblico dell’arte.
In “VITA, 200 stories through the glass” la multimedialità e l’articolata fungibilità dell’installazione si intrecciano per dare vita a una processualità tipica dell’arte del nostro tempo. La dimensione aperta, interattiva, è contingente e contestuale alle volontà espressive dell’artista che mette in relazione due realtà diverse come quella infantile e adulta. L’arte stabilisce una relazione fisica e percettiva fra queste due sfere e l’ambiente “pubblico” in cui agisce ridefinendolo.
Come affermò nel suo scritto del 1977 “Passaggi”, per Rosalind Krauss “l’opera pubblica diventa pratica aperta di relazione con il mondo”.
Il fare dell’artista si espande e, attraverso la pratica di costruire mediante l’ambiente l’arte pubblica, dimostra la sua vocazione sociale. Gilioli, infatti, ha operato sul territorio muovendosi in “presa diretta” fra le circostanze presenti nel luogo d’intervento per dare forma e, soprattutto, “vita” al suo lavoro che si allontana dalle pratiche artistiche orientate prettamente sull’oggetto per andare verso una processualità che trasforma la comunicazione nel vero materiale della pratica artistica.
Lo stesso uso mediato della tecnologia fa sì che si producano azioni a distanza veicolando elementi remoti di narrazione che entrano contestualmente nel reale connettendo, quindi, persone remote nel tempo presente. L’opera perciò prende “vita” continuamente, attualizzandosi ogni qual volta si usi il dispositivo QR code.
In questo modo entra in crisi il modello del monumento: l’installazione infatti pone al centro dell’opera lo spettatore e diventa pubblica proprio perché dialoga con esso, essendo suo elemento caratterizzante, ma allo stesso tempo ritorna a essere moneo, radice latina della parola “monumento”, ovvero “ricordo” di una narrazione di storie che si intrecciano ed entrano in contatto con l’astante.
Con Gilioli la scultura non è più “lingua morta” come la definì lo stesso scultore Arturo Martini nel suo omonimo scritto del 1945 ma diventa “parola spontanea fra gli uomini”.
L’arte di Gilioli si può definire pubblica perché è un lavoro “al vivo” che nasce dal dialogo fra l’artista e il pubblico con cui collabora, e pone al centro la relazione fra audience e opera. È proprio da questo innesco alla partecipazione del pubblico che l’opera agisce in quanto arte pubblica instaurando un rapporto orizzontale di collaborazione e condivisione fra l’artista e le persone che diventano esse stesse soggetto dell’opera.
L’artista, come una soggettività antropologica, entra nel territorio dell’altro, diventa il tramite di esperienze di altri e il suo lavoro di conseguenza diventa una metafora di questa relazione.
L’opera, quindi, si relaziona con questioni sociali e significati culturali che denotano la nostra vita civica facendo sì che l’arte diventi pubblica ogni qual volta sappia indicare questioni pubbliche.
“VITA, 200 stories through the glass” è un’azione artistica che interviene nelle situazioni sociali concrete come pratica di inclusione attraverso un progetto che vuole dare un sostegno a dei soggetti sociali deboli. L’arte, quindi, è pensata non come produzione di un oggetto ma come prassi “al vivo” nei contesti del territorio e della città rivolgendosi a un pubblico ampio inteso come soggetto sociale in grado di fornire un suo contributo diretto. Il significato dell’arte, allora, non deriva più solamente da una proprietà o qualità estetica dell’opera stessa, ma dall’insieme di diversi fattori di esposizione e ricezione; dal contesto del luogo che attiva stati di ricezione specifici e che attivano a loro volta un lavoro di fruizione da parte del ricevente, che diventa fruitore e ricevente di quell’opera essendo all’interno di un sistema di relazioni.
La teorica dell’arte Rosalind Kraus definisce l’expanded field come “il corpo espanso e allargato della scultura che emerge dopo che essa perde la sua finitezza come corpo chiuso rispetto alle circostanze spaziali e temporali in cui è collocata. Da August Rodin la scultura non è più oggetto chiuso e distante da chi la osserva e non richiede unicamente l’occhio e la vista come strumento al centro del processo conoscitivo ed esperienziale ma il “tempo” quello reale dell’esperienza del senso che nasce col farsi dell’opera e dell’esperienza che se ne ha”.
Valeria Ceregini: L’opera “VITA, 200 stories through the glass” è un progetto installativo e documentaristico complesso poiché si compone di una fase preliminare di raccolta dei materiali, delle testimonianze di vita che tu in prima persona hai ascoltato in questi anni da quando, nel 2014, con il sostegno della Multinazionale del vetro AGC Japan e Mediolanum ha preso avvio il lavoro.
Data la consistenza delle video-testimonianze come hai gestito il lavoro preliminare di organizzazione dei dati? In quale modo li hai archiviati e come sei poi approdato all’ideazione, nonché realizzazione delle opere stesse?
Raoul Gilioli: La scelta della prima parte delle interviste è caduta sul prezioso lavoro no-profit di fondazioni e associazioni che operano nelle periferie a sostegno delle fragilità familiari. Loro ci hanno aiutato e fatto da “ponte” per raggiungere gli intervistati.
L’ideazione del lavoro e la conseguente produzione era stata progettata un anno prima delle interviste, cercando uno strumento espressivo multimediale in grado di documentare le testimonianze raccolte e trasformarle in qualcosa di fortemente estetico ed emozionante, il mezzo non poteva che essere il vetro, materiale che amo da sempre.
V.C.: “VITA, 200 stories through the glass” è un’opera ongoing in continua crescita ed evoluzione finalizzata all’attività di raccolta dei proventi delle opere che saranno devoluti alla Fondazione Mission Bambini Onlus per l’apertura e il mantenimento di asili nido e spazi ludici nelle aree disagiate d’Italia. Questo però non è l’unico aspetto interattivo dell’installazione, esiste infatti un’altra tipologia di coinvolgimento derivante dall’utilizzo del QR code per lettura di ogni opera. Qual è stata la motivazione che ti ha spinto a inserire tale dispositivo?
Raoul Gilioli: Il QR code è una sorta di chiave che apre la porta del mondo delle immagini e dei suoni, degli sguardi dei silenzi, materia viva e pulsante delle storie raccontate. Per ora non c’è strumento più efficace per questa transizione. Il lavoro installativo infatti ha il suo territorio infinito sul web dove al nostro lavoro il pubblico, nel segno dell’arte partecipata, aggiungerà le sue testimonianze.
V.C.: Non è la prima volta che ti avvali dei mezzi tecnologici per la realizzazione di una tua opera, è il caso di “You at Mirror” (2011), installazione social in grado di confrontarsi con il pubblico sulle problematiche che talvolta solleva l’uso scorretto dei social network. In quel caso ti eri avvalso di tracce audio mp3 per entrare in contatto con il fruitore delle 17 silouhettes in specchio argentato. Da dove nasce questo tuo interesse per le nuove tecnologie e soprattutto il loro impiego nelle tue creazioni?
Raoul Gilioli: La tecnologia è ormai da anni al servizio dell’arte e viceversa, mi affascina l’incanto di strumenti innovativi che restituiscono all’arte quel ruolo di ineffabile magia che ci stupisce e trascina come in Alice in un mondo fantastico che siamo noi stessi. L’arte pubblica ha bisogno più che mai di tali strumenti, il pubblico ha bisogno di ritrovare la sua arte. QR codes, sensori di presenza, microfoni, meccanismi di movimento radio comandato ecc. sono un esempio.
V.C.: L’uso di materiali e superfici vitree o specchianti è ciò che spesso contraddistingue i tuoi lavori da “Pupilla, through the looking glass” (2012) a “Cryogenic” (2013) ma il leitmotiv che accomuna tutte le tue installazioni oltre all’uso dei materiali “freddi” è, soprattutto, la finalità sociale. Attraverso tali installazioni pubbliche sei in grado di far interagire il pubblico che si trova di fronte a delle sculture in grado di riflettere e far riflettere. In entrambi i casi, come anche in “VITA, 200 stories through the glass”, il medium, prendendo a prestito l’affermazione di McLuhan, è il messaggio? Essendo questi materiali riflettenti lo strumento del comunicare, dell’interazione con il prossimo, sono pertanto il messaggio, ovvero il veicolo con cui si trasmette il tuo messaggio artistico e sociale?
Raoul Gilioli: Per la mia ricerca il sociale è soprattutto un’opportunità ed occasione poiché credo che non si possa fare a meno di occuparsi dell’intera umanità. L’arte ha tra gli altri, il compito e la possibilità di sostenere il sociale e nel mio piccolo sono felice di contribuire con ogni progetto a questa dinamica, ma non ci si deve accontentare, l’umanità sta soffrendo molto oggi e c’è bisogno di dialogo, emozione, ideali, coraggio, rispetto.
E quindi gli strumenti, i materiali, i contenuti sono utilizzati con il fine di rendere possibile questa partecipazione, il vetro in particolare per la sua natura rappresenta bene la fragilità e la delicatezza con cui dobbiamo rapportarci con il prossimo nei vari temi.
V.C.: Sempre per citare McLuhan, l’impiego di materiali cosiddetti “freddi” comporta un’alta partecipazione del pubblico a cui è richiesto il “completamento”? Ciò cosa significa per te in quanto artista e creatore di opere pubbliche dal forte impatto interrelazionale?
Raoul Gilioli: Mi piace pensare al vetro come un materiale che porta il pubblico a fare una scelta da cui deriva anche la percezione di calore o freddo.
Sulla sua superficie puoi rifletterti, e sarà in quel caso fredda e asettica, tutto resterà inerte o, al contrario, guardare attraverso la sua superficie che si schiuderà come una porta di fuoco con cui è fatto, penetrando il tema, andando oltre per ritrovare il calore antico della responsabilità e della comprensione.
Valeria Ceregini
http://raoulgilioli.com/
http://www.vita200stories.org/
Copertina: Vita, 200 stories through the glass, 2014-2015. Murazzi del Po, Torino. Courtesy dell’artista.
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